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Barbarossa, l'intimità della lingua dell'anima

Un disco in dialetto non è un disco per pochi ma per tutti, come Roma

di Nadia Macrì - 10 febbraio 2018
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«Pe' ogni fijo amato e cresciuto n'avemo fatte de notti / Mo li vedi anna' in giro ner monno coi nostri occhi». Era 19enne quando che si è presentato al Festival di Sanremo con Roma spogliata, città che ha cantato poi ancora con Via Margutta, città che torna come lingua nella sua Passame er sale, ora che di anni ne ha 56.

«Tanti pensano che un disco in dialetto sia un disco per pochi e solo per chi lo capisce» ci spiega Luca Barbarossa con quella cadenza e complicità familiare e festosa che cerca anche fra i giornalisti in conferenza stampa. «Il dialetto romano è un dialetto inclusivo e nello specifico nel brano Passame er sale esprime quella pigrizia espressiva tipica dell’intimità, di quando si sta in famiglia, tra amici. Con gli amici quando si scherza la battute la dici in dialetto, provate a raccontarla, a tradurla in italiano, fa ridere la metà!».

Un’esigenza quindi quella di scrivere senza filtri, a parole tue, con espressioni che come Roma sono patrimonio universale. E romani sono anche le due collaborazioni che compaiono nell’album, dove troviamo un featuring di grande prestigio con Fiorella Mannoia e uno con lo straordinario talento di Alessandro Mannarino. «Fiorella è un’amica di lunga data, nell’81 lei cantava Caffè nero bollente mentre io debuttavo qui con Roma spogliata. Fiorella ha seguito il disco dall’inizio ed è stata la prima a cui ho fatto sentire le canzoni chitarra e voce registrate col telefonino» ricorda Barbarossa con il suo sorriso elegante aggiungendo che per questo disco ha scritto le canzoni a raffica ed erano anni che non scriveva con una tale urgenza. «Poi a Mannarino sono estremamente grato per aver sdoganato la lingua romana con canzoni ben diverse dagli stornelli della tradizione – continua il cantautore che da diversi anni con Radio 2 Social Club ci insegna che la musica quando la si fa insieme è ancora più bella - Alessandro mi ha insegnato a cantare in romanesco senza nostalgismo. Con lui canto il brano Madur, canto la vicenda di un ragazzo di colore che viene massacrato in una stazione della metropolitana a Roma, e poi si scopre alla fine, quando arrestano i ragazzi, che l’unico romano era il ragazzo di colore aggredito e ucciso. Questo a testimonianza che Roma è di tutti e ci dobbiamo abituare che quando si nasce in un Paese, si va a scuola, si cresce, si lavora in quel Paese, si è cittadini di quel Paese e prima lo impariamo, prima lo insegniamo ai nostri figli, e meglio è per tutti».

Che belle le inflessioni, gli accenti e ripercorrendo la tracce del disco capiamo che la scelta dell'uso del dialetto è un segno non solo di intimità, ma di quotidianità. C’è tanta tavola, il sale, il vino, la dieta. «Non si può fare un disco romano senza parlà di cose de magnà, una parte importante della nostra cultura è la cucina locale. Nel brano La dieta si mischia il cibo con l’amore, c’è una descrizione minuziosa delle ricette romane, dalla cacio e pepe e la picchiapò, che forse è l’unico termine che chi non è di Roma non conosce e che altro non è che la carne di bollito ripassata in padella il giorno dopo con cipolla e pomodoro, della serie non si butta niente in una famiglia». Non si butta nemmeno l’amore. «Se semo amati feriti traditi e accarezzati / Se semo presi lasciati pentiti / E aritrovati». Amore cantato nelle sette partecipazioni al Festival, amori portati sul palco dell’Ariston. «Le donne sono sacre, ed è un’altra cosa che facciamo fatica ad imparare. Lo sono perché ci mettono al mondo e dovremmo ricordarcelo più spesso. Personalmente ho dedicato due canzoni a due donne importanti: nel ’92 ho scritto Portami a ballare e l’ho dedicata a mia mamma, oggi nel 2018 canto Passame er sale e la dedico a mia moglie che di vite me ne ha date quattro: la nostra storia che dura da 20 anni e tre figli. Questa canzone è una confessione che faccio, di voler continuare il cammino con a lei».

Cammino che si intreccia col tour teatrale che partirà il 16 marzo da Bari e finirà a Roma il giorno della festa patronale della capitale, il disco Roma è de tutti ha la direzione artistica di Maurizio Mariani e Francesco Valente che solo con una chitarra fa suonà n’orchestra, figuriamoci con quella elettrica, acustica e classica, è un disco colmo di poesia e anima anche se Barbarossa dice di non aver «le parole che c’hanno i poeti». È un album di inediti che narra storie di quartiere di una città che non solo è di tutti, ma è uno stato d’animo e basta il tempo di un cd per dire che è robba pe’ te!


L'autore

Nadia Macrì

Nadia Macrì, è nata nel 1977 a Zurigo, ma ha vissuto anche in altre città italiane, isole comprese.
Non è chiaro se per vocazione o per bisogno, alterna pittura, radio, canto, web e scrittura all'arte della medicina. Segue con particolare interesse gli artisti emergenti e ama tutto ciò che è alternativo.
Ha all'attivo diverse collaborazioni con emittenti radiofoniche, case discografiche e portali musicali. Collabora con diverse associazioni locali e nazionali per la realizzazione di eventi musicali, ma ama soprattutto comunicare con gli artisti attraverso le sue interviste che conclude sempre con la stessa domanda semi-seria: qual è la nota musicale preferita. Quasi a voler costruire una melodia aggiungendo una nota per volta.
Di se stessa dice: "Ci sono quelli che sanno tenere i piedi per terra. E chi ha sempre la testa fra le nuvole. Nadia è a metà. Tra terra e cielo”.
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